
Immobili abusivi: cosa rischia chi acquista? Il reato e la prescrizione. Per la validità del rogito basta la menzione del titolo edilizio
Hai acquistato casa ma, solo dopo aver firmato il contratto di compravendita notarile, ti sei accorto che il precedente proprietario ha commesso un abuso edilizio. Di tanto non eri stato informato neanche a voce, né il notaio si è accorto dell’irregolarità urbanistica. Ora ti chiedi quali siano le sorti della vendita – se possa considerarsi valida o nulla – e se ti è riconosciuto un risarcimento del danno; danno corrispondente o alla somma necessaria a chiedere la sanatoria oppure, in alternativa, alla riduzione del valore dell’immobile conseguente alla demolizione dell’abuso.
Due sentenze della Cassazione, emesse proprio in questi giorni, hanno affrontato il tema dell’abuso edilizio commesso dal precedente proprietario. La prima – firmata dalle Sezioni Unite [1] – ha chiarito se il rogito notarile possa dirsi valido in presenza della dichiarazione del venditore degli estremi del titolo urbanistico, a prescindere dal profilo della conformità o meno della costruzione in questione. La seconda [2] invece spiega quali responsabilità possono discendere in capo all’acquirente per l’abuso edilizio commesso, in precedenza, dal venditore.
Qui di seguito commenteremo queste due pronunce; con l’occasione affronteremo anche il tema dell’abusivismo edilizio e indicheremo quali sono le ultime sentenze e gli orientamenti dei giudici in merito.
Abuso edilizio: cos’è?
L’abuso edilizio è un reato che scatta non solo quando si realizza un’opera per la quale non è stato chiesto il relativo permesso o presentata in Comune la documentazione edilizia. Esso scatta anche quando l’opera definitiva è difforme rispetto a quella rappresentata alla pubblica amministrazione con i progetti depositati oppure quando viene avviata una pratica diversa da quella prevista per legge (ad esempio, è abusivo il cambio di destinazione di un appartamento effettuato tramite Scia e non con il permesso di costruire).
Abuso edilizio: chi è responsabile?
Trattandosi di un reato, l’abuso edilizio implica una responsabilità del solo autore. Chi compra l’immobile, anche se consapevole della presenza della difformità urbanistica, non subisce alcuna conseguenza di carattere penale a meno che non sia stato egli stesso a commissionare l’opera abusiva (si pensi a un acquirente che subordini la conclusione dell’affare alla realizzazione di una veranda, a spese del venditore, priva però delle necessarie autorizzazioni amministrative).
Il fatto che l’acquirente non abbia alcuna responsabilità penale per il reato di abuso edilizio commesso dal venditore non lo salva però dall’ordine di demolizione che tanto il giudice quanto la pubblica amministrazione possono emettere nei confronti del manufatto abusivo. Egli infatti ha l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi per come imposto dalla legge, anche se non è stato il materiale autore del reato.
Con una delle due sentenze citate in apertura [2] la Cassazione ha detto che chi interviene su un’opera abusiva prosegue l’iniziale illecito urbanistico e quindi ne risponde in misura pari al precedente proprietario. Si tratta, quindi, di una ipotesi in cui il reato commesso dal venditore, in quanto proseguito dall’acquirente, si riflette anche su quest’ultimo.
Qualsiasi intervento dunque effettuato su una costruzione che sin dall’origine sia stata realizzata in modo abusivo, rappresenta un proseguimento dell’attività criminosa e quindi integra un nuovo reato edilizio; difatti tali attività «ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale».
Si pensi a una persona che, dopo aver comprato un immobile con un seminterrato abusivo, anziché sanare la situazione prosegua, senza permesso di costruire, delle opere di trasformazione di tale locale.
Tali interventi sono da considerare la «prosecuzione dell’iniziale illecito urbanistico», escludendone, di conseguenza, la prescrizione.
Dunque, allorché la costruzione abusiva «perisca in tutto o in parte, o necessiti di attività di manutenzione […], di completamento o trasformazione», il proprietario sprovvisto del titolo abilitativo, non acquista il diritto di «ricostruirla, completarla, trasformarla, ristrutturarla, mantenerla».
Di conseguenza, i lavori di manutenzione o di trasformazione presuppongono che l’opera su cui si interviene sia stata costruita legittimamente. Diversamente, ossia nel caso in cui si intraprendano dei lavori su opere abusive tali interventi non fanno altro che ripetere le caratteristiche di illegittimità della costruzione principale e, quindi, perpetrare il reato. Dunque, in tale ipotesi, ad essere responsabile penalmente è anche l’acquirente.
Quando si prescrive l’abuso edilizio
Vediamo ora quando si prescrive l’abuso edilizio. Chiaramente parliamo della prescrizione del reato e non anche della sanzione amministrativa quale la demolizione; quest’ultima infatti, non si prescrive mai e può essere intimata anche dopo numerosi anni.
Il reato di abuso edilizio – punito con arresto o ammenda – si prescrive:
in 4 anni dal compimento dell’illecito se, da tale momento, non ci sono stati atti interruttivi della prescrizione (cosiddetta prescrizione breve);
in 5 anni dal compimento dell’illecito (cosiddetta prescrizione ordinaria) se c’è stato un atto interruttivo come, ad esempio, il decreto di citazione a giudizio).
Abuso edilizio: responsabilità notaio e agente immobiliare
Salvo sia stato espressamente dispensato dal cliente, il notaio è chiamato a verificare che l’immobile oggetto del rogito sia regolare da un punto di vista urbanistico. Diversamente può essere chiamato a risarcire il danno. Stesso discorso per l’agente immobiliare che ha intermediato la vendita del bene.
Vendita immobile abusivo: il contratto è valido?
Vediamo ora quali sono le sorti del contratto con cui viene venduto un immobile abusivo. Dobbiamo distinguere a seconda che le parti abbiano firmato solo il compromesso (il contratto preliminare) o anche il rogito notarile (la compravendita definitiva).
Contratto preliminare di immobile abusivo
Il 7 marzo scorso la Cassazione [3] ha detto che è valido il compromesso di un immobile abusivo anche se l’acquirente non è stato messo al corrente dell’irregolarità; difatti ben potrebbe essere che sia intenzione delle parti concedere al venditore un termine – prima della firma del rogito – per chiedere e ottenere la sanatoria. Dunque, il compromesso in sé per sé è valido. Ciò non toglie però che l’acquirente potrebbe chiedere una risoluzione per inadempimento contrattuale, per aver il venditore nascosto l’irregolarità. A quest’ultimo però verrebbe data la possibilità di chiedere – a proprie spese – la sanatoria. Se non viene però presentata la domanda o la stessa viene rigettata o non viene regolarizzata con il pagamento delle sanzioni, l’acquirente può recedere dal contratto preliminare per inadempimento. Da ciò consegue l’obbligo per il venditore di restituire il doppio della caparra e risarcire tutti i danni patiti dall’acquirente.
Compravendita immobile abusivo
Come noto, la legge impone che il contratto di compravendita di un immobile debba indicare necessariamente gli estremi del titolo urbanistico, ossia la concessione edilizia. In assenza di tale menzione il contratto è nullo.
In merito a tale aspetto, le Sezioni Unite della Cassazione [1] hanno risolto un ulteriore e interessante dubbio: in caso di vendita di un immobile abusivo, il fatto che il rogito notarile contenga la menzione del titolo urbanistico rende il contratto valido anche se le condizioni dell’immobile, in concreto, siano diverse dal predetto titolo proprio a causa della presenza dell’abuso? Facciamo un esempio. Tizio vende a Caio il proprio appartamento su cui ha costruito una pertinenza mai autorizzata dal Comune. Nell’atto di vendita vengono indicati gli estremi del permesso di costruire che, chiaramente, non fanno riferimento all’abuso. Il contratto tra Tizio e Caio è valido o meno? Secondo la Suprema Corte la menzione della licenza edilizia consente all’acquirente di verificare se il bene che sta per comprare è conforme o meno alla licenza stessa; gli dà cioè l’opportunità di accertare l’esistenza di abusi. Per cui il contratto è valido.
«Valido» non vuol dire però che non ci sia tutela per l’acquirente. Significa solo che non spetta all’ordinamento ritenere nulla la vendita. Sarà il compratore a decidere se intraprendere una causa contro il venditore e chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento (inadempimento costituito dalla mancata comunicazione preventiva dell’abuso) ed, eventualmente, anche il risarcimento del danno.
Quindi, in «presenza della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato».
La lotta all’abusivismo che lo Stato deve comunque perseguire si realizza anche grazie alla possibilità di esigere, in qualsiasi momento, la demolizione dell’opera.
Nel frattempo, ai fini della validità del contratto è necessaria e sufficiente la menzione del titolo edilizio “a monte”, purché esistente e riferibile all’immobile negoziato.
L’acquirente, con la dovuta diligenza, è in grado di svolgere le indagini più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene, e così valutare la convenienza dell’affare, anche in riferimento ad una eventuale mancata rispondenza della costruzione al titolo dichiarato.
La funzione della menzione del titolo edilizio nell’atto di acquisto, menzione imposta dalla legge, non è vietare la «stipulazione di atti aventi a oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente inutilizzabili», ma solo «la comunicazione di notizie e (…) la conoscenza di documenti». In definitiva, la menzione ha «valenza essenzialmente informativa» dell’acquirente in merito all’esistenza del titolo edilizio richiamato.
Fonte: La legge per tutti.it